L’immagine più persistente nel nostro orizzonte è senza dubbio quella rappresentata dalla parola “crisi”. È un tempo, questo, sottoposto a una specie di “anestesia ai misfatti indotta dal sovrappiù emotivo amplificato dai media” la povertà d’esperienza e l’ipertrofia della paura disseccano la capacità di desiderare e immaginare il cambiamento. Non un solo aspetto ne è al riparo: lo Stato, l’Europa, le istituzioni, la giustizia, la scuola, il sistema sanitario, l’educazione, le famiglie. In economia poi l’impiego del dispositivo-crisi è diventato storicamente ricorsivo. In piena emergenza sanitaria, economica e sociale, oltre che ambientale, Dubosc entra nel vivo della crisi aperta dalla pandemia del Covid-19 affrontando l’evidenza dei sintomi psicosociali, la paura del contagio e l’epidemia psichica, la deriva del controllo securitario, la medicalizzazione radicale della vita e della morte. La pandemia sembra diventare il catalizzatore di trasformazioni in tutti gli ambiti della vita. Non sarà possibile tornare allo status quo dell’indifferenza, dobbiamo ritrovare la chiave immaginativa che ci connetta diversamente col mondo. La riflessione dell’autore parte dal considerare ciò che è bloccato nella psiche e lo mette in relazione con l’emergenza ambientale generata dall’uomo. Entra così in gioco l’elemento pietrificato e pietrificante: il troll. Dove si nasconde il troll nell’Antropocene? Che aspetto assume oggi questo essere mitologico a un tempo umano e non umano? Cosa produce? Rappresentato nel XIX secolo come abitante demoniaco di luoghi solitari, propenso a divorare gli umani e a non rivelare niente della sua natura, il troll/hater ricompare ora sotto mentite spoglie a cominciare dalle comunità virtuali, nella rete, per boicottare e paralizzare i processi comunicativi. Questo primo sguardo su come si manifesta e se sia il simbolo della nostra “natura cieca, muta e insensibile” è solo l’inizio per provare a rispondere alle domande che tutti ci poniamo sul nostro presente. Dubosc ragiona sulla crisi manifesta, quella di un modello di sviluppo sul quale incombe la svolta climatica, attraverso il prisma della clinica, della psicologia, dell’antropologia, della filosofia, ma da prospettive originali: chiama in causa lo sciamanesimo, la letteratura e il folklore, la psicopolitica e la cosmoecologia per mappare le radici del sovranismo, l’intolleranza e le politiche dell’inimicizia. Più che mai, da qui in avanti, “sognare la terra” sembra indispensabile.
Cod: 9788898848720
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